‘A salera, la nostra marina, a due passi da casa, in via Agricoltori, nel quadrilatero delle carceri.
Da piccoli c’andavamo con i nostri genitori, con l’ombrellone sulla spalla di papà, qualche paletta e secchiello per giocare e con tanto impegno a imparare a nuotare e andare sott’acqua.
Appena più ragazzetti ci si andava da soli, partendo da casa direttamente in costume e scalzi, a tuffarci e a pescare telline e “conquiglie”.
Jiacint faceva il guardiano notturno al chiosco, dove le donne si svestivano e noi compravamo il “cazzinbocchio”.
Tutti i tardi pomeriggi, Cuncett’ portava la cena al marito ed io le facevo compagnia, inoltrandoci per i vicoli della marina dove si sentiva il forte odore del mare.
Dopo il bagno della sera, sia nella sabbia tiepida che nel mare caldo, ci si accompagnava alla cena di Jiacint.
Al ritorno, la sera, passando sotto il ponte della ferrovia e riattraversando i vicoletti della marina e del carcere, le luci fievoli dei piccoli lampioncini creavano un’atmosfera antica, magica.
Quella magica sensazione, i profumi del mare, della sabbia, quel silenzio accompagnato da voci lontane di ragazzini che si rincorrevano, quelle onde scroscianti sulla riva dove si potevano raccogliere i granchi di rena, sono raccolti in un’ antica memoria che osserva con molto patimento lo sfacelo di questi luoghi, oggi, infestati da erbacce incolte e da liquami fognari a cielo aperto.
Quanta tristezza per questa nostra martoriata terra.
Giovanni Kosta